martedì 10 novembre 2009

Qualcuno con cui giocare: Secretary (2002) di Steven Shainberg

Ci sono film d'amore che muovono le masse, che sono universalmente sentiti e vissuti dalle platee, e che commuovono col loro romanticismo di stampo tradizionale, archetipico. E ci sono film che si rivolgono ad un pubblico più ristretto, parlano di sentimenti in modo anticonvenzionale e provocatorio, ma non per questo sono meno romantici; anzi, sono ancora più toccanti perchè esprimono la necessità del sentimento vissuto in modo individuale, e l'immensa fortuna del riconoscimento in un altro tanto smarrito quanto simile a noi. Ed è questa la vicenda di Lee Holloway in Secretary, piccolo e bizzarro film che nel 2002 spopolò al Sundance Film Festival. Secretary non è Ghost, non è Moulin Rouge; Secretary non è l'amore trepidante, sospirato, il sentimento come afflato che muove ogni azione; non è la donna angelicata e salvifica, non è amore protettivo e accarezzato. Secretary è una favola oscura che si snoda al suono delle canzoni sensuali di Leonard Cohen, serpeggia in corridoi stretti, silenziosi e allusivi , per terminare dietro una porta chiusa dove forse si sta svolgendo una delle storie più tenere e romantiche mai narrate.
Il film ritrae un amore nero e destabilizzante, inatteso; è un amore che colpisce e chiede arrendevolezza; vuole scosse violente, ha bisogno del espresso con un linguaggio proprio, devoto e riconoscibile. Lee Holloway, timida e insicura, oppressa da problemi comportamentali e autolesionistici, e Edward G. Grey, avvocato solitario e misantropo, si riconoscono immediatamente e da lì parte la loro rinascita, il fiorire di una relazione complice e fedele.
Un certo marketing italiano ha promosso il film come operina pruriginosa sul sadomasochismo, e immagino che chi lo abbia acquistato spinto da certe curiosità lo abbia trovato incredibilmente noioso. Già, perchè la forza di Secretary non sta nelle scene di sottomissione - che pure ci sono, e a volte sono così scarne e dirette da sorprendere nella loro franchezza - ma nei dialoghi con cui i due protagonisti mettono il cuore e le pulsioni a nudo. Dialoghi secchi, essenziali, con cui Edward sancisce la sua protezione/dominio e Lee la sua remissività. Ma chi comanda chi, in fondo? L'interrogativo che pone il film è questo, e lo fa usufruendo di grande ironia, sottigliezza, espedienti narrativi che mettono in scena la scambio di ruoli tra schiava e padrone. E' Lee, infatti, a "comandare" il film; i suoi timori, il rischio con cui entra nel gioco, spinta da folle desiderio di vivere e di mettersi alla prova. Maggie Gyllenhaal è stupenda come creatura di immensa forza emozionale, trascinante, coraggiosa perchè decisa a vivere fino in fondo questa sua sessualità che diviene sua forza e salvezza. Edward G. Grey (lo straordinario, sensibile James Spader) non può che soccombere di fronte alla bellezza e alla guida luminosa di Lee.
Secretary rappresenta uno tra i più bei ritratti di emancipazione femminile, un film in cui una donna si riappropria con forza del proprio destino e della propria personalità; la riscossa di un'anima sperduta che nel suo concedersi in modo estremo, nello strisciare sulle ginocchia, nell'offrirsi alla forza liberatoria di una sculacciata ed al piacere erotico che ne trae, afferma il diritto e il divertimento di essere.

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